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Associazione Teatro di Buti


I BEI GIORNI DI ARANJUEZ

di Peter Handke

mise en espace con Dario Marconcini e Giovanna Daddi



SILENZIO (1969)
Un uomo e una donna siedono a un tavolo da giardino,
all'aperto, in un bel giorno d'estate, e parlano dell'amore.
Tra loro vi è intimità, confidenza, una franchezza spietata,
una sincerità disarmata, e lealtà nel rispettare il gioco delle
parti in uno scambio governato da regole precise,. Ma la
scena che stanno recitando non è quella di un corteggiamento.
Nulla lascia intendere che siano, o siano stati, amanti.
Nel "dialogo estivo" che si svolge tra loro - nè "dramma" nè
"tragedia", ma un genere del tutto singolare: divertimento
serio, gioco estremo, rito solenne e pervaso di erotismo- si
raccontano l'un l'altra le proprie esperienze amorose.
"La tua prima volta con un uomo, come è stato?", chiede lui.
E lei, incalzata dalle sue domande, lascia affiorare ricordi.
Densa di allusioni, di evocazioni sorretta da un sottotesto
di segreti rimandi letterari, illuminata da sconcertanti rivelazioni,
la conversazione tra i due - personaggi senza nome
fino alle ultime battute, emblemi dei due sessi, archetipi
dell'uomo e della donna-procede come una danza, scabrosa
e pudica, enigmatica e sensualissima.
Ambientato in un luogo fuori dallo spazio e dal tempo – del
giardino in cui la scena si svolge gli alberi non si vedono
nemmeno, si odono appena - , I bei giorni di Aranjuez è una
sfida a qualsiasi possibilità di rappresentazione: perfino la
città nominata nel titolo compare come un ricordo nei racconti
dell'uomo e come la citazione di un verso di Schiller.

Dalle note di copertina del libro
a cura di Alessandra Iadicicco


Quello che ci affascina di questo testo, a parte la sua irrapresentabilita', e' che qui, Handke, invece di essere quell'autore di pieces provocatorie che hanno contraddistinto il suo percorso teatrale, attraverso un dialogo estivo, calmo, quasi sospeso nel tempo e nello spazio, ci dà la possibilita', immobilizzando il corpo degli attori attorno a un tavolo, di lasciarsi andare, solo con la parola, ad onde di ricordi e visioni dove veglia e sogno sono presenti.
E' per lo scrittore un segno di cedimento o l'apertura per un altro mondo?
Verso...ou sont les neiges d'antan?
Solo attraverso le regole che scandiscono un gioco di domande/risposte, si possono ritrovare quelle nevi?
E'nella mente dell'autore, nel mistero della sua scrittura che l'attore cerca di penetrare, assumendola su di se' e questo e' il compito piu' difficile, ma solo cosi' si possono toccare i fili di quella trama nascosta che ci avvicina e ci rivela il suo mondo.
Forse la vera provocazione di Handke qui sta nell'evocare qualcosa che si va perdendo e viene da citare Brecht quando diceva "tempi cupi quando discorrere di alberi e' quasi un delitto".
Ma, alla fine, Handke dà di nuovo spazio ai suoi fantasmi e questo paradiso perduto, questa quiete, dove la confessione, la sincerita', il sogno, le visioni, sono linfa vitale permessa, viene turbata dall' irrompere la' dentro di tutto il rumore di quel mondo da cui invano si vuol fuggire.
Il momento della contemplazione si smarrisce anche se l'incantamento e le domande sul mistero dell'esistenza restano immanenti come, non senza una certa ironia, l'ultima.
“Chi puo'sapere che cosa sonnecchia nelle segrete nebbie del tempo?"

Dario Marconcini


   


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